01 aprile, 2012

I sogni dei Beat erano dei sogni talmente immortali che hanno continuato a vivere. [cit. Fernanda Pivano]


Non è uno scritto da censurare, ma è un riesumato della Beat Generation. 



Avevamo parcheggiato nei pressi della solita bettola, per consumare la nostra esperienza.

Il pre-esperienza lo conoscete già tutti: 
è sempre la stessa roba, commercializzata sempre nella stessa zona, assunta sempre nello stesso modo.

Poi arriva l'esperienza... 
e te ne rendi conto dal battito accelerato, o dal mondo trasformatosi in film dinanzi ai tuoi occhi.



Ecco, io, ricordo.

Il vetro si appannava ad ogni respiro, con lo stesso ritmo con cui il freddo mi portava a tremare. 
Mi sarei dovuta coprire meglio, perchè intravedevo la mia spalla nuda, ma gli arti erano scollegati dal cervello che continuava, invano, ad inviare l'input di coprire la spalla.

La serata non finiva mai, mi perdevo nei minuti.
Ero certa di ondeggiare sospesa, senza gravità.

All'inizio queste sensazioni, non avendole mai provate, mi spaventavano, percepivo solo la paura e la voglia di annullare questo viaggio e lo avrei fatto, se fossi stata in grado di autogestirmi. 
Al contrario, affogavo in un mare di fantasie e quando riuscivo a riemergere non potevo fare a meno di ridere e pensare: "non sono nella mia vita, consumo droga con degli sconosciuti dalle facce familiari e il mio corpo è privo di tatto. Non c'è bisogno di avere paura, non mi può accadere nulla".

Uno degli effetti più indesiderati è il bisogno di urinare, causa o conseguenza del freddo che ti assale. 
In realtà, io, non sono certa che quella pressione, avvertita, sulla vescica fosse un reale bisogno, dal momento che ero priva di qualsiasi liquido nel corpo, a tal punto da essere ricorsa al collirio per due volte.

Non ero in grado di lamentarmi, ma esternavo i miei bisogni tra le risa, ragion per cui ero costretta a ripetere "sono seria" ad ogni richiesta. Non so, dopo quanto tempo riuscì a farmi avvolgere in una coperta e farmi portare delle birre. Qualcuno mi offrì anche del cibo.

Ero lenta con il cibo, mi annoiava mangiare, così regalai quel che avevo ad un randagio, mentre le birre finivano troppo velocemente.

Abbandonata sul sedile, stavo viaggiando ad una velocità sorprendete dentro una bolla di allucinazioni vivide, tra luci gialle, ragazzi sciatti e anziani aristocratici, nel peggiore quartiere della città.

Nulla era più come il solito: 
quello era un film di cui ero la regista.

Mi piaceva troppo quell'emozione, sentirmi estranea a tutto, fuori dal mio corpo.
Ogni qual volta mi si interpellava, rientravo nel mio corpo e vedevo le dimensioni che avevo oltrepassato indietreggiare come cerchi, la realtà mi si avvicinava sempre più nitida. 
Ero staccatissima dal mondo, come Alice, cadendo in un buco, entra nel paese delle meraviglie, così, io, nel centro di un vortice tornavo e me ne andavo dalla realtà nitida e definita.
Nonostante sentire il mio nome mi risvegliasse, non riuscivo a formulare frase differente da "non so, ero altrove con la mente" e non potevo far a meno di ridere della mia condizione.

Era la sensazione più strana ed eccezionale che avessi mai provato:
distante da ogni materia, volavo sola, fredda e sorridente, come se questo volo fosse un privilegio a me, solo, concesso. Della paura ormai avevo ironizzato.

Soltanto, grazie ai contatti fisici mi ricordavo di possedere un corpo e di sforzarmi di muoverlo. 
Mi sembrava un anno prima quando ero cosciente, invece erano trascorsi solo minuti, in cui dicevo, senza nesso logico, cose tipo: "Wow, stranissimo, cioè troppo figo e... non lo so, ma è stupendo!" esterrefatta dal mondo che la lucidità nasconde.

Ho anche creduto fosse tutto, solo, un sogno, che prima o poi mi sarei svegliata e quando riuscivo a convincermi che stesse accadendo davvero, mi tormentavo su cosa avrei ricordato l'indomani e come sarebbe stato il ritorno sulla terra, lo scontro con la mia vita non alterata da sostanze. Questa è stata l'ultima paura affrontata quella sera.

Ripetevo "no no, sto bene..." agli altri, come se fossero loro a chiedermelo, invece cercavo di rincuorarmi e tornare gradualmente alla razionalità, rispondendo a domande mai fatte.

Ero un'aquilone sfuggito dalle mani di un bambino.
La prima paura: "dove volerò?" sbiadita con l'ebrezza del volare veloce, trasportato dal vento, senza più autocontrollo e, forse, senza mai più toccare terra o sbattendo violentemente contro qualcosa, prima di terminare il volo.

Anche l'ultima paura, infondata, è sparita non appena, ho raccolto le mie forze per accompagnare qualcuno alla sua dimora e rifugiarmi nel mio letto.

Il mio corpo era ridotto ad un mattone, inerme e congelato, le palpebre pesanti chiuse e la mente attiva che continuava il suo svarione, per tutta la notte.

Quella mattina non avvertì alcuna stanchezza, ed ero sbalordita dai miei ricordi:

le risa della sera, ero certa, erano di scherno verso chi non aveva provato le mie stesse sensazioni. 
Ero la fortunata. 



Forse, questo viaggio lo rifarò.



p.s: ogni riferimento a persone realmente esistite o eventi realmente accaduti è puramente casuale. 
Il testo è scritto nel rispetto verso le Opere della Beat Generation e non è un invito a drogarsi.
Il titolo del post parla delle contestazioni giovanili affrontate dalla Beat Generation, mente il testo di mia invenzione, si rifà alle descrizioni delle sperimentazioni di droghe degli autori del movimento letterario.
RIPETO: NON VUOLE ESSERE UN INVITO ALLA DROGA!!!
MaLoRe



4 commenti:

  1. Mi sento scossa,
    agitata, Ah
    agitata, ah
    un po' nervosa, ah
    uh!
    Acida come
    di più non si può
    di più non si può
    come un Acido.
    Uh!


    R.

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  2. Ti stimo: "ero la fortunata" ahahahahahahaha

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    1. Fortunata di viaggiare in prima classe... ma su un TEE (Trans Europa Espresso) a che serve?
      E' solo per strafare.

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